Soluzioni al servizio delle esigenze a tutti e tre i livelli statali: Tre è meglio di uno per superare sfide difficili.

Il federalismo ha bisogno di comuni capaci di agire

17.09.2021
9 | 2021

La crisi del Coronavirus ha messo il federalismo alla prova e il richiamo della centralizzazione si è fatto sentire. Le strutture decentralizzate tuttavia hanno dato prova del loro carattere solido e innovativo. Un appello a favore di comuni capaci di agire.

Da tempo in Svizzera il dibattito sul federalismo non infervorava così tanto gli animi come durante i mesi di crisi del Coronavirus e il federalismo non si trovava sotto il fuoco incrociato di critiche così accese. Si è parlato di spirito cantonale e di un mosaico di misure che hanno ostacolato la gestione della crisi. Alla recente conferenza sul federalismo tenutasi a Basilea alla fine di maggio, il presidente della Conferenza dei Governi cantonali (CdC) Christian Rathgeb ha fatto notare come improvvisamente tutto fosse stato «visto attraverso una sorta di lente della centralizzazione». «Con questa lente, solo ciò che è disciplinato a livello centrale sembra positivo». Ora, il federalismo con il suo principio dello Stato centrale e degli Stati membri include già elementi decentralizzati e centralizzati, come ha ricordato Christian Rathgeb a Basilea. «Se una crisi richiede una gestione più centralizzata, si tratta anche di un aspetto del federalismo e rientra nel principio costituzionale di sussidiarietà. Con la legge sulle epidemie, la Svizzera ha anticipato una situazione del genere».

Immotivata una critica su tutti i fronti

Nessuno contesta la possibilità e la necessità di migliorare la gestione delle crisi, non da ultimo il coordinamento e la comunicazione. L’analisi, a cui partecipano anche i comuni, è attualmente in corso. Ciò che si può dire sin d’ora è che, senza la «lente della centralizzazione», si riescono a vedere i vantaggi del federalismo, anche – e forse soprattutto – in tempi di crisi. Molti cantoni hanno agito in modo innovativo e rapido, ha sottolineato Christian Rathgeb, citando come esempi Zugo con il suo sistema a semaforo per misurare le infezioni su base giornaliera, i Grigioni con un regime di test che è poi servito da modello per la strategia nazionale di test, Basilea e Zurigo con il loro modello per ammortizzare gli affitti delle imprese, il Ticino con il suo ordine tempestivo di chiusura delle aziende, il Vallese con il suo ritorno anticipato alla chiusura dei ristoranti. In sunto: «gli Stati membri hanno reagito con decisione a situazioni specifiche».

Soluzioni al servizio delle esigenze

Soluzioni al servizio delle esigenze a tutti e tre i livelli statali: ciò che vale per i cantoni vale a maggior ragione per i comuni. Jörg Kündig, vicepresidente dell’Associazione dei Comuni Svizzeri (ACS) e presidente dell’Associazione dei presidenti dei comuni di Zurigo, constata: «mentre la Confederazione e i cantoni disciplinano per mezzo di leggi e ordinanze, i comuni sono direttamente coinvolti per quanto riguarda l’attuazione delle misure concrete». In pratica ciò significa che, durante la crisi, i comuni, a contatto diretto con la popolazione, hanno fornito un ampio sostegno, oltre ai loro compiti di base: informazioni per i cittadini preoccupati, assistenza stazionaria e ambulatoriale da parte di Spitex, case di riposo e di cura, coordinamento dell’impiego dei volontari, dispiegamento delle forze di sicurezza e della protezione civile, scuole operative e asili che hanno dato ai genitori la libertà necessaria. Le prescrizioni nazionali e cantonali, soprattutto in materia di regole di distanziamento e misure di protezione, sono state attuate e garantite in modo tempestivo.

Dalla modalità esecuzione alla modalità innovazione

Siccome il principio di un percorso comune per tutti e tre i livelli statali non può essere rispettato sempre in tempi di crisi e sotto la pressione del tempo, Jörg Kündig aggiunge un altro elemento determinante del federalismo: l’autonomia e la competenza, ovvero il margine di manovra per i comuni. Da questo punto di vista non può che lodare il suo cantone. Nella primavera del 2020, per esempio, il governo di Zurigo ha autorizzato i consigli comunali ad adottare fondi per ammortizzare le conseguenze economiche del Covid e in poco tempo ha permesso di rinunciare alle assemblee comunali e di introdurre votazioni alle urne. Al contrario, i comuni devono avere il coraggio di utilizzare anche di fatto questa libertà di manovra. Perché non bisogna dimenticare che, per esempio, oltre all’attuazione di misure organizzative, non solo la Confederazione e i cantoni, ma anche i comuni hanno dato fondo alle loro tasche per i servizi di supporto. Jörg Kündig aggiunge: «da un giorno all’altro, siamo dovuti passare dalla modalità di esecuzione a quella di crisi e innovazione; sono state prese decisioni finanziarie insolitamente coraggiose su investimenti ingenti». Decisioni per le quali le autorità comunali saranno lodate o forse criticate. «Con il senno di poi, molti sapranno come si sarebbero potute prendere decisioni migliori».

Una selva di regole

In questo contesto, una prima constatazione sulla crisi del Coronavirus è un po’ amara: i servizi dei comuni sono passati pressoché inosservati agli occhi dell’opinione pubblica. E ancora più difficile da digerire è la «tendenza all’aumento della densità normativa a livello federale», come osserva Claudia Hametner, vicedirettrice dell’Associazione dei Comuni Svizzeri (ACS). «I progetti della Confederazione come la riforma del settore delle cure del 2011 o le prescrizioni vincolanti per le autorità in materia di pianificazione del territorio, per esempio nella Concezione «Paesaggio svizzero», portano a limitare sempre di più il margine d’intervento dei comuni». I comuni sono diventati i principali sovvenzionatori del finanziamento delle cure. «Siccome i contributi delle casse malati e degli assicurati prevedono un tetto massimo, gli aumenti dei costi sono quasi interamente a carico del settore pubblico. Inoltre, ci sono altri fattori di costo come le prestazioni complementari e le spese per l’aiuto sociale, disciplinati dalle autorità di rango superiore e difficilmente influenzabili dai comuni».

La perdita di autonomia dei comuni è confermata periodicamente dal sondaggio dei segretari comunali (cfr. Comune Svizzero del febbraio 2021). Oltre il 70 per cento dei segretari – contro ancora il 60 per cento nel 2005 – crede che l’autonomia del loro comune sia diminuita negli ultimi dieci anni.

Idee contro la perdita di autonomia

Alla luce di questi sviluppi, le richieste dei comuni per avere una maggiore voce in capitolo non sorprendono. Già nell'autunno 2017, l’ACS ha chiesto l'introduzione di un referendum comunale a livello federale: 200 comuni in almeno 15 cantoni potrebbero indire un referendum contro le decisioni del Parlamento federale. Una possibilità di referendum a livello federale esiste già oggi per i cantoni: sono necessari otto cantoni su 26. La richiesta dell’ACS partiva già allora dalla constatazione che i comuni, nonostante l'«articolo comunale» (art. 50) iscritto nella Costituzione dal 1999, non avevano aumentato di fatto il loro grado di autonomia. Eppure l'articolo comunale della Costituzione federale menziona esplicitamente il terzo livello di governo ed esige che la Confederazione tenga conto nelle sue azioni dei possibili effetti sui comuni. Il Consiglio nazionale ha chiaramente respinto l'iniziativa parlamentare per un referendum comunale presentata da Stefan Müller-Altermatt (CN PPD/SO) nell'autunno 2018. Müller-Altermatt non aveva comunque perso la speranza: «Nonostante tutto un effetto forse c’è stato: le conseguenze del nostro lavoro legislativo sui comuni sono state nuvoamente portate alla nostra attenzione.»

Dalla maggioranza dei cantoni alla maggioranza dei comuni

I comuni hanno attualmente il diritto di referendum contro le decisioni cantonali in sette cantoni: Basilea Campagna, Grigioni, Giura, Lucerna, Soletta, Ticino e Zurigo. Il numero di comuni richiesto per poter presentare un referendum varia da cantone a cantone. Anche Hannes Germann, presidente dell'ACS e consigliere agli Stati, di Sciaffusa, vorrebbe che i comuni avessero un tale diritto nel suo cantone. Germann sostiene ancor più l’introduzione di una maggioranza dei comuni a livello cantonale, simile alla maggioranza dei cantoni richiesta nelle votazioni federali per i cambiamenti costituzionali. Forse non è una coincidenza in un cantone che ha votato qualche anno fa su una fusione radicale che mirava a creare un unico grande comune: tale proposta di «abolizione dei comuni» fu chiaramente respinta, ma la variante più moderata (riduzione a circa un terzo) ricevette circa il 46% di approvazione e fu sostenuta soprattutto dalla città di Sciaffusa. «La maggioranza comunale compenserebbe il grande peso delle città nelle votazioni popolari», ha commentato Germann per il quotidiano «Schaffhauser Nachrichten» in un articolo apparso questa estate. Le città di Sciaffusa e Neuhausen rappresentano più del 54% della popolazione, come riporta il giornale, il che significa che i comuni rurali non potrebbero opporsi a un «sì» unanime dei centri.

Anche i comuni di Urnäsch e Stein nel cantone di Appenzello esterno vorrebbero ottenere la maggioranza dei comuni. Poiché il governo cantonale vorrebbe ridurre il numero di comuni da 20 a 4, temono che in futuro alcune grandi città determineranno il destino dei piccoli comuni rurali.

Per alcuni esperti di diritto pubblico, una maggioranza dei comuni è «giuridicamente inattuabile, incostituzionale». Secondo la costituzione federale, le costituzioni cantonali devono essere emendate dalla maggioranza dei votanti, e nelle votazioni il principio prevalente è che ogni voto conta allo stesso modo. Gli abitanti dei comuni scarsamente popolati non dovrebbero quindi avere un peso sproporzionato. Secondo altri, al contrario, come indica la Costituzione federale, ogni cantone adotta una costituzione democratica: una maggioranza dei comuni non sarebbe quindi a priori inattuabile.

Oggi, però, anche la maggioranza dei cantoni, sancita nella Costituzione federale dal 1848, è sotto pressione. L'esempio più recente è l'iniziativa parlamentare presentata da Balthasar Glättli, consigliere nazionale (Verdi, ZH), che chiede che la Costituzione federale sia modificata in modo che, nelle votazioni che richiedono la doppia maggioranza, soltanto una maggioranza qualificata di due terzi dei Cantoni (15,5 Cantoni) possa prevalere sulla maggioranza popolare. Il ragionamento che vi sta dietro: nel 1848, un «no» espresso nel Cantone di Appenzello Interno aveva un peso 11 volte superiore a un «no» espresso nel Cantone di Zurigo, mentre oggi tale rapporto è di 44 a 1. Secondo Glättli, si tratta semplicemente di adattare il principio del federalismo alla forte crescita della popolazione nei centri urbani.

Dal 2005, la Conferenza nazionale sul federalismo riunisce ogni tre o quattro anni esperti e professionisti del settore politico, economico e della pubblica amministrazione per esaminare il sistema di governo unico nel suo genere della Svizzera. La Dichiarazione di Montreux del 2017 ha sottolineato la comprensione e l'impegno per il federalismo. La dichiarazione di Basilea del 2021 riafferma questa comprensione e afferma che il federalismo è in costante evoluzione. L’ACS vuole contribuire a questa evoluzione, continuando a impegnarsi per l'autonomia dei comuni e per aumentare la consapevolezza nei confronti del livello comunale.

Denise Lachat Denise Lachat
Traduzione: Annalisa Cipolla/Luisa Tringale

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